In questo primo articolo sulle investigazioni sulla scena del crimine si tratteranno in via preliminare gli elementi fondamentali a suo fondamento : il posto in cui si è concretamente commesso il crimine e le fasi che caratterizzano le attività naturalmente ad esse consequenziali: le fasi dell’indagine di polizia giudiziaria.
LA SCENA DEL CRIMINE
Un noto brocardo anglosassone che recita “when the suspect remains silent, traces talk” (quando il sospettato rimane zitto, parlano le tracce) individua e precisa molto bene l’importanza fondamentale delle tracce sulla scena di un crimine; discreti e silenti, le tracce possono senza dubbio considerarsi come i testimoni più affidabili per scoprire la verità.
Questo lo sapeva molto bene il commissario Colasanti, che si è sovente rivolto ai rapporti della Polizia Scientifica per risolvere i casi più complessi, dall’omicidio Zappalà che gli valse la promozione al grado di commissario, al più noto assassinio di Chiara Lombardi; tuttavia, all’epoca di Colasanti ci si basava prevalentemente sui dati di laboratorio: lente di ingrandimento, impronte digitali ed esami ematici.
E’ a questo punto opportuno ricordare che all’identificazione del cadavere carbonizzato nella 500 C sulla via Salaria, si arrivò in poco più di quarantotto ore, grazie a rigorosi e precisi esami di laboratorio che esaminarono le calzature indossate dalla vittima.
Solo recentemente, tuttavia, si è compreso che l’esame di laboratorio per quanto importante non può considerarsi esaustivo, ma è complementare all’esame più approfondito possibile della scena del crimine; è lì che si trovano in prima e imprescindibile istanza gli infallibili e silenziosi testimoni oggetto di questa analisi.
Le tracce del crimine, tuttavia, per essere funzionalmente utili alla risoluzione di un caso, devono essere raccolte ed esaminate in modo scrupoloso, per evitare di minare il prezioso contributo indiziario di cui sono naturalmente portatrici.
Tale contributo è tale da poter permettere la ricostruzione dell’intera scena del crimine, come se si guardasse un dettagliato video che permettesse di identificare non solo l’autore del reato e della vittima, ma anche di altre parti coinvolte; di ricostruire il modus operandi (la concreta condotta del criminale) che ha poi comportato necessariamente la produzione di un corpo del reato (es: il cadavere di Chiara Lombardi) .In questo modo è possibile risalire ad un coerente collegamento tra scena del crimine e persone implicate a qualsiasi titolo, dall’autore principale, agli eventuali complici, alla vittima.
L’attività, quindi, “sul campo” si lega inevitabilmente a quella operata in laboratorio in cui le tracce, così come raccolte, vengono “interrogate” dagli strumenti tecnici più all’avanguardia, di cui, ahimè, Colasanti era piuttosto carente, in modo da operare una sintesi finale dei risultati tecnico-scientifici che vanno poi “tradotti” in termini giuridicamente validi dalla polizia giudiziaria.
LE FASI DELL’INDAGINE
Esemplificando e riportando come caso di scuola la brillante indagine svolta da Colasanti sul caso Zappalà, bisogna considerare che il complesso meccanismo appena indicato si attiva con :
- la ricezione della notizia da parte dell’autorità, in tal caso è lo stesso Colasanti che viene messo a conoscenza tramite una telefonata nella notte del 16 novembre; dalla questura gli telefonano per comunicargli che più chiamate avevano riferito di “colpi di arma da fuoco provenienti dall’appartamento della vittima dal quale sarebbe scappato un individuo con un cappello a falde larghe.” I testimoni accorsi sul posto raccontavano di aver trovato lo Zappalà riverso a terra senza vita.
- L’attività immediatamente successiva è l’invio di una pattuglia sul posto che, a seconda della gravità del fatto riferita e delle sue concrete modalità di esecuzione, può essere, come nel caso Zappalà, quella dello stesso dirigente della sezione omicidi che infatti si recò sul posto insieme all’inseparabile brigadiere Quartuccio.
- La successiva valutazione della scena del crimine all’epoca di Colasanti era piuttosto semplificata, limitandosi ad una attività di raccolta degli oggetti ritenuti utili ai fini di una successiva indagine di laboratorio. Nella maggior parte dei casi ciò comportava una sommaria selezione di tutto ciò che fosse considerato prima facie di rilievo investigativo, con la conseguenza che, nella indiscriminata e successiva fase di
- raccolta di oggetti e nel conseguente sovraccarico di lavoro per il personale del laboratorio della Polizia Scientifica, venisse sottovalutato qualche elemento che avrebbe potuto invece rivelarsi utile ai fini dell’indagine, oltre al rischio di formulare informazioni fuorvianti per il prosieguo delle indagini.
La quarta fase veniva poi necessariamente integrata con un’attività più propriamente forense quale
- l’interrogazione dei testimoni e di chiunque avesse potuto dare elementi utili al prosieguo delle indagini. Colasanti avrebbe quindi potuto rifarsi esclusivamente ai punti 3, 4 e 5 per abbozzare una
- ricostruzione della dinamica che avrebbe portato al suo naturale esito della
- conclusione dell’indagine.
È opportuno precisare che nel caso Zappalà una parte predominante e decisiva ebbe l’esame delle testimonianze delle persone informate sui fatti che permisero all’intuito del più bravo investigatore d’Italia di arrivare all’individuazione del colpevole.
Tuttavia, non sempre la “carta” del testimone può considerarsi così facilmente giocabile; in tali casi gli unici elementi che possono soccorrere sono proprio le tracce sulla scena del crimine.
Con il passare del tempo e con l’ausilio di una tecnologia sempre più sofisticata, ci si è resi conto dell’importanza imprescindibile della scena del crimine, non più ridotta a mero “deposito” di oggetti più o meno grandi e più o meno significativi da “scaricare” al laboratorio della polizia scientifica, ma assurta a scenario principale per il buon esito dell’attività investigativa.