Sembrerebbe pleonastico affermarlo, sebbene ad una attenta e ponderata riflessione in realtà non sia, ma in una democrazia, la giustizia funziona sino a quando il cittadino permetta che questo accada; ovvio , qualora ci si trovi in un regime dittatoriale, servono ben altri strumenti perché ciò si verifichi; a titolo esemplificativo si può pensare alla corruzione del sistema istituzionale, il quale per ciò stesso diviene ricattabile e quindi molto più facilmente controllabile : le voci fuori dal coro, vale a dire quelle impermeabili a qualsivoglia forma di compromesso finanziario o comunque economicamente valutabile, vengono messe rapidamente a tacere in base ad un metodo piuttosto collaudato che vede nella messa in ridicolo prima e nella persecuzione giudiziaria successivamente i due pilastri fondamentali su cui si basa la repressione in tempi moderni del dissenso. In un sistema così depurato, l’eventuale inefficienza del sistema istituzionale più o meno evidente che sia non sarebbe motivo di analisi e quindi di critica da parte del cittadino. Tuttavia qualora ci si voglia rivolgere ad un sistema democratico, l’unico motore che possa permettere all’Istituzione non solo il suo funzionamento ma addirittura la sua stessa esistenza è la fiducia che il cittadino nutre nei suoi confronti.

            L’insieme delle regole giuridicamente rilevanti che disciplinano le indagini sulla scena del crimine e che in questo modo le forgiano danno vita al concetto di scienza forense, vale a dire, l’insieme delle tecniche e degli strumenti utilizzati per fare luce sulla scena del crimine deve essere ricompreso e previsto in un quadro normativo, cosicché possa essere efficacemente utilizzato in un processo. Solo in questo modo si potrà assicurare un sistema investigativo che sia garanzia di affidabilità non solo più propriamente tecnica, ma anche e soprattutto giuridica: Con questo si viuole affermare che solo la codificazione normativa di regole tecnico-scientifiche permette una corretta ricostruzione della vicenda criminale che altrimenti sarebbe lasciato all’arbitrio dell’investigatore. Colasanti avrebbe mai potuto risolvere così brillantemente il caso Zappalà o il caso della giovane Chiara Lombardi se i tecnici della Polizia Scientifica deputati al sopralluogo si fossero comportati ognuno come preferiva, senza attenersi a regole precise e codificate? E cosa avrebbe pensato l’opinione pubblica di un’indagine basata esclusivamente sull’iniziativa individuale di tecnici che agivano come meglio preferivano? La fiducia nell’Istituzione sarebbe stata fortemente pregiudicata.

          Il problema non si pone solo per quanto attiene ai tecnici di laboratorio, come al tempo del commissario Colasanti, ma anche al personale che si muove direttamente sulla scena del crimine, in considerazione della delicatezza dell’attività svolta sul posto che, se effettuata maldestramente o peggio con la precisa volontà di alterare lo status quo della scena del crimine, condurrebbe a risultati disastrosi; di qui la necessità di norme di comportamento che siano possibilmente più rigide per coloro che operino in loco. 

          Si pensi infatti che l’operatore di polizia scientifica, a differenza del suo collega che opera in laboratorio, non si deve limitare esclusivamente all’analisi tecnica della traccia rinvenuta, ma deve altresì interpretarla da un punto di vista investigativo; l’operatore in laboratorio avrà invece il compito più facile, in quanto dovrà esclusivamente leggere in chiave tecnica il dato elaborato dalle sue analisi.

            E’ possibile individuare una ricca casistica di esempi relativi a casi in cui l’etica professionale possa essere violata dall’operatore sulla scena del crimine o in laboratorio, compromettendo in tal modo l’intero esito delle indagini; si pensi ad esempio ad ignorare una prova sulla scena del crimine che potrebbe scagionare un sospetto; oppure alla falsificazione di prove di laboratorio per avvalorare la tesi accusatoria; raccogliere sulla scena del delitto elementi probatori sulla base di interpretazioni personali e scartarne altri altrettanto decisivi; interpretare in maniera eccessivamente estensiva o restrittiva il parere di un esperto. Cosa avrebbe detto Colasanti difronte a situazioni del genere? Si sarebbe accontentato di incastrare un sospettato sulla base di dati falsi e artefatti? Certo, in molti casi la celerità delle operazioni induce una certa approssimazione nell’attività di indagine, ma ciò comporta necessariamente il detrimento della verità.

            Un altro errore tipico da evitare nell’analizzare la scena del crimine è l’approssimazione del metodo investigativo sia in difetto che in eccesso; è infatti da evitare non solo l’acquisizione indiscriminata di tracce ed elementi rinvenibili, lasciando ad altri il compito di effettuare la dovuta cernita, ma anche il loro ottenimento approssimativo ed incompleto, circostanza alquanto comune soprattutto in scenari investigativi piuttosto complessi.

             In presenza di condotte di questo tipo, qual è l’atteggiamento più giusto da osservare? La risposta non è facile a darsi in ispecie se l’autore delle medesime è un collega o peggio un amico. Una denuncia al superiore gerarchico o all’autorità giudiziaria comporterebbe il naufragio completo dell’indagine oltre a minare la fiducia del cittadino nella Istituzione. Che fare, dunque ? Un utile criterio con cui orientare la propria condotta è chiedersi anzitutto se la questione è da ritenersi di poca o dirimente importanza: la mancanza del mio collega è grave? E’ tale da agevolare lo sviluppo investigativo o lo compromette? Esempio: l’operatore deve esaminare una macchina in un caso di omicidio. Non prendendo tutte le cautele del caso, entra nel veicolo inquinando la scena, danneggiando alcune impronte digitali, ma riesce subito a trovare l’arma del delitto nascosta nel porta guanti chiuso a chiave. Cosa avrebbe fatto Colasanti? Avrebbe accettato la rapidità con cui era stata rinvenuta l’arma del delitto o avrebbe punito l’operatore per aver inquinato comunque la scena del crimine ?

La strategia migliore sia per acquisire tutti gli elementi utili, sia per contenere condotte scorrette è la vigilanza, ovviamente non v’è nessun guadagno da una investigazione condotta male o dettata dalla fretta di raggiungere il risultato voluto, anche perché come soleva dire il commissario Colasanti “un occhio vigile raramente è cieco”.