Intervista con l’autore

Siamo qui con Massimo di Taranto, autore de “Le indagini del commissario Colasanti”. Anzitutto grazie per aver accettato di parlare del suo romanzo, che se non andiamo errati è il suo esordio assoluto nel mondo letterario…

-Sono io che ringrazio voi del sito commissariocolasanti.it per avermi dato l’opportunità di spendere qualche parola sulla mia prima fatica letteraria in assoluto…

-Ci parli un po’ di lei.

-Nasco cinquantatre anni fa a San Giovanni Rotondo, una piccola perla del Gargano; non lo definisco ridente perché non ho mai capito cosa volesse dire, ma è davvero un gioiellino.

-Gioiellino che però ha conosciuto poco…

-Diciamo che ci sono tornato saltuariamente nel corso degli anni soprattutto fino a quando andavo a salutare i nonni nelle feste comandate, sa Natale, Pasqua.

-Perché in realtà ha abbandonato subito,

-Sì, avevo due anni quando ci siamo trasferiti a Roma per motivi di servizio di mio padre.

-“Motivi di servizio”, suona molto di burocratese, che lavoro faceva suo padre?

-Ha lavorato tutta la sua vita nei Carabinieri e la maggior parte del tempo l’ha trascorsa tra Napoli e Roma dove poi è stato messo a riposo per sopraggiunti limiti d’età.

-E lei, Di Taranto, non è stato da meno…

-Non proprio, ho seguito le sue orme ma sono finito… nei cugini.

-Gli ha fatto un dispetto allora!

-Mi sono laureato in giurisprudenza e ho superato il difficile concorso da funzionario di polizia, sono rimasto in polizia per più di vent’anni.

-Complimenti! Diciamo che non si è scelto una professione facile…

-No, si tratta di una professione difficile che ha comunque dato notevoli soddisfazioni. Dopo le prime esperienze alla celere di Roma, sono stato trasferito alle volanti di Napoli dove ho lavorato per circa due anni, quindi sono tornato nella mia città d’adozione, la mia amata Roma.

-Quanto delle sue esperienze è riportato ne “Le indagini del commissario Colasanti”?

-Il romanzo è ambientato nella Roma della prima metà del 1951; gli avvenimenti si sviluppano da gennaio a maggio, quindi non posso aver riprodotto nulla delle mie dirette esperienze che si sono svolte negli ultimi 20 anni; diciamo tuttavia che nei personaggi che incontra Colasanti ci sono comunque i tratti delle personalità di colleghi incrociati in venti anni di lavoro.

-Che non avranno difficoltà a riconoscersi…

-Non particolarmente; in ciascuno di loro ci sono frammenti di ricordi di persone che ho effettivamente incontrato o stralci di episodi effettivamente verificatisi, ma non ne ho riprodotto per intero la complessità caratteriale di ciascuno di loro.

-Entriamo nel vivo del romanzo; lei si è preoccupato di precisare che si tratta di un’opera di fantasia, eppure ci sono riferimenti storici talvolta molto precisi a luoghi o avvenimenti effettivamente esistiti.

-Sì, preciso anche che i riferimenti cui lei ha accennato mi sono serviti per dare una intelaiatura storica alla struttura narrativa. Sono narrati effettivamente verificatisi ma ovviamente modificati in accordo e secondo le esigenze della sovrastruttura di fantasia che incardina l’opera.

-Non mi è molto chiaro, può farci un esempio?

-Certo, mi spiego meglio: i singoli episodi che fungono da trama secondaria, faccio l’esempio del crollo di Monteverde: non è un’opera di fantasia, ma sicuramente non si è svolta con il commissario Colasanti che svolgeva le indagini o con la giornalista Bencivegna dell’Unità che aiutava a liberare le macerie! O lo stesso Ordo Canonicum Regolarium Sanctae Crucis: esiste davvero, ma si tratta di bravissime persone, di religiosi devoti alla loro missione cristiana, non hanno ovviamente nulla a che fare con quanto scritto nella mia opera di fantasia.

-Che non vogliamo ci riveli troppo… Ma una curiosità ci sorge spontanea: perché proprio loro? Ha avuto modo di frequentarli nella vita reale?

-Nella maniera più assoluta. L’idea mi venne dopo aver visto “Donatella”, uno splendido film del ’56 con una squadra d’attori da far accapponare la pelle, le cito solo i primi cinque: Elsa Martinelli, Gabriele Ferzetti, Walter Chiari, Aldo Fabrizi e Abbe Lane. Ebbene la protagonista, Donatella alias Elsa Martinelli, viveva in via San Teodoro 64, a pochi passi dalla chiesa di San Giorgio al Velabro, dove ci sono i religiosi dell’Ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce, perciò mi è venuto naturale inserire anche loro nella mia opera di fantasia.

-Vengono citati nella sua opera persino il ministro degli interni Scelba, il capo della polizia e il Questore di Roma dell’epoca…

-Sì ma il Questore nella realtà era abruzzese, io l’ho fatto diventare campano con uno smaccato accento che il vero Polito ovviamente non poteva avere: i miei personaggi sono di fantasia, così come quello che dicono o fanno; della realtà conservano solo il nome.

-Anche i singoli episodi citati, dall’incidente stradale al tentato suicidio fanno parte della cronaca del tempo?

-Certo, mi sono divertito a spulciare gli archivi storici di alcuni quotidiani dell’epoca, ho trovato l’archivio de l’Unità particolarmente esaustivo. Ho persino citato un episodio che ha riguardato le vicende sportive dell’ A.S. Roma dell’epoca.

-Rigorosamente veritiero…

-Assolutamente! Peccato che quella stagione sportiva non ha arriso in maniera particolare ai colori giallorossi…

-Cosa significa il motto latino dell’epigrafe che abbiamo voluto riportare sulla prima pagina del sito?

-E’ un motto anonimo che a mio parere si attaglia perfettamente allo spirito narrativo del romanzo; vuol dire che la verità spesso fatica a emergere ma non muore mai e non può essere sottaciuta per sempre,

-Non vogliamo anticipare nulla di più, ma ritiene ci sia la possibilità di un seguito de “le indagini del commissario Colasanti?”

-E’ necessario leggere il finale per capirlo, ma ovviamente non lo farò qui con voi!