Giovanni Romano, classe 1895, nasce al terzo piano di un dignitoso palazzo al civico 6 dell’attuale via Arco Mirelli nello storico quartiere di Chiaia a Napoli; terzo di cinque figli, tutti rigorosamente maschi, intraprese ben presto la strada percorsa dal padre Domenico, noto principe del foro napoletano. Dopo aver perso la maturità classica al prestigioso Regio Liceo Classico Vittorio Emanule II di via San Sebastiano con il massimo dei voti nel giugno del 1913, ci mise poco più di quattro anni per laurearsi in legge all’Università Federico II, discutendo una interessante tesi in diritto penale sulla “consumazione del reato e tentativo. Differenza tra desistenza volontaria e pentimento operoso” che gli valsero la lode ed il bacio accademico.
Grazie alle pesanti e autorevoli conoscenze di papà Domenico evitò di ricevere la cartolina precetto non solo durante l’iscrizione all’università, ma anche in quell’anno e mezzo che separava il suo addio agli studi universitari dall’armistizio di Villa Giusti del 3 novembre 1918 che sanciva formalmente la fine della grande guerra cui Giovanni avrebbe rischiato di partecipare.
Malgrado le premure e il desiderio del padre, non desiderava in modo particolare intraprendere la carriera forense, forse perché timoroso del nome che portava che lo avrebbe costretto suo malgrado ad un impietoso confronto con il ben più celebre Domenico Romano ogni volta che fosse entrato in un’aula del palazzo di giustizia napoletano.Ripiegò perciò sul Regio Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, nel quale sarebbe facilmente entrato come ufficiale, sempre grazie all’imprescindibile spinta dell’Avv. Domenico il quale poteva contare su amicizie piuttosto altolocate anche in quell’ambiente grazie alle quali ebbe la possibilità di chiedere ed ottenere la questura di Napoli come prima assegnazione per il giovane ufficiale.
Dopo nemmeno sette anni dal suo ingresso, particolarmente attratto dal nuovo clima politico che si era instaurato nel Paese e convinto di utilizzare la politica come un utile grimaldello perla sua carriera, si fece trasferire a Roma entrando volontario nel Corpo Speciale di Polizia della Capitale, con un “incoraggiamento” di duemila lire una tantum che il giovane ufficiale di polizia gradì in maniera particolare.
Il primo incarico di prestigio lo ottenne con il trasferimento alla sezione omicidi della squadra mobile trovandosi subito a dover affrontare il caso politicamente molto delicato del mediatore romano con la passione della fotografia, Gino Girolimoni, accusato di aver seviziato ed ucciso 5 bambine. Dopo tre anni di infruttuose indagini e con la pressione del governo sempre più insopportabile, Romano si gettò sul mediatore con tutta la forza che gli era rimasta, disperando per la sua carriera che sembrava ormai compromessa. Difficilmente il dottor Romano ritorna con facilità a parlare del caso che lo rese celebre subito dopo aver rischiato di distruggerlo sull’altare dell’interesse politico.
L’arrivo del dottor Colasanti alla guida della sezione reati contro il patrimonio prima e della sezione omicidi dopo poco più di un anno, gli permise di guadagnare lo scranno di comandante della squadra mobile che tanto aveva agognato sin da quando varcò per la prima volta l’ampio portone di via san Vitale 15.
Grazie alla particolare intesa e alla sinergia professionale tra i due, i risultati della squadra mobile romana migliorarono notevolmente, fu infatti in questo clima che si addivenne alla brillante risoluzione dell’efferato caso di Chiara Lombardi.