Amilcare Mancini

Amilcare Mancini, nasce in una assolata mattinata del 17 luglio 1906 nel condominio di via dei Fienaroli 10/a nel centro di Trastevere, a due minuti dalla Basilica di Santa Maria in Trastevere, da una famiglia di anarchici. Suo padre Filippo partecipò ai moti del febbraio 1889 organizzando, insieme ad Ettore Gnocchetti, due violente manifestazioni in cui centinaia di anarchici armati dettero l’assalto a forni e depositi alimentari fronteggiati inutilmente da un esiguo numero di militari e polizia. A seguito della severa repressione che ne seguì ,Filippo Mancini conobbe il carcere e si guadagnò la pressoché costante attenzione della Questura romana che si sarebbe poi progressivamente estesa a tutta la sua famiglia.

Quarto di cinque figli di cui solo due femmine, Amilcare seguì ben presto le orme ribelli e rivoluzionarie del padre, preferendo, tuttavia l’ideologia comunista a quella anarchica che abbandonò quasi subito dopo aver raggiunto la maggiore età, con l’avvento del fascismo.

Da sempre innamorato delle bellezze artistiche ed architettoniche della sua città ma non potendosi permettere degli approfonditi studi universitari, subito dopo la scuola dell’obbligo si dedicò con tutte le sue forze a frequentare i pochi librai ambulanti del suo quartiere, arrivando a stringere preziose amicizie persino con qualche professore universitario che gli regalò qualche prezioso volume sulla storia dell’arte che ancora consulta e conserva con orgoglio.

A partire dal 1922 la situazione per la famiglia Mancini cambio, se possibile, ancora più in peggio; i controlli polizieschi si fecero sempre più pressanti e lo stesso Amilcare ben presto finì sotto la lente d’ingrandimento della temibile polizia politica dell’OVRA che non si era certo lasciata scappare la sua attività di distribuzione di fogli clandestini del partito comunista insieme ai suoi compagni.

A ventiquattro anni fu mandato al confino sull’isola di Ponza ove rimase sino al luglio del ’39, quando fu trasferito a Ventotene: dello scoppio della guerra non se ne rese nemmeno conto più tanto. Qui vi rimase sino alla fine dell’agosto del ’43, una settimana prima che 45 paracadutisti americani liberassero il primo lembo di terra italiano in assoluto dall’occupazione tedesca.

Tornato a Roma si rimise a svolgere l’attività di distribuzione clandestina de l’Unità per poco meno di un anno, guadagnandosi la posizione di cronista locale già dal 6 giugno dell’anno dopo, quando le pubblicazioni ripresero in via ufficiale.

Nel gennaio del 1948 diventa caporedattore e dopo pochi mesi incontrerà per la prima volta Rosetta Bencivegna, una giovane ventiquattrenne romana di belle speranze, che gli chiederà di essere presa come apprendista al giornale. Amilcare la prenderà sotto la sua ala protettiva diventandone ben presto  guida e mentore.